Talmente vergognoso che perfino chi lo ha firmato ne prende le distanze proponendo un referendum tra i lavoratori, una operazione per pulirsi la faccia, e riconoscendo evidentemente che lo strumento finora adoperato del voto alle assemblee non fosse altrettanto democratico, così come abbiamo sempre sostenuto, ma facendo comunque finta di ignorare che i deputati al conteggio delle eventuali schede elettorali saranno gli stessi che hanno sempre contato le alzate di mano nelle assemblee.
Reputiamo l'ipotesi di contratto firmata da tutti i sindacati concertativi insufficiente e irriverente per il lavoro dei postali, che dal punto di vista economico non solo non recupera minimamente l'andamento inflattivo degli ultimi anni né si pone a prevenzione di quello programmato, ma che addirittura impoverisce ulteriormente la categoria nel potere d'acquisto e nei diritti già fortemente erosi dagli ultimi rinnovi e dagli innumerevoli accordi che in maniera sistematica negli anni hanno sottratto ai lavoratori per garantire sempre più guadagni e dividendi per manager ed azionisti. In deroga anche alle finte posizioni anti privatistiche assunte, per un solo giorno, dai sindacati firmatari.
Una ipotesi che sancisce un arretramento perfino rispetto alla insoddisfacente piattaforma che gli stessi hanno presentato ai lavoratori a gennaio e per la quale avevamo già fortemente dimostrato le nostre contrarietà.
La pochezza, espressa e propagandata per celarne le evidenze, è rappresentata innanzitutto dalla presunta riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario, a noi molto cara, che non trova un reale riferimento nel contratto in discussione se non in un vaghissimo ed inconsistente inciso che rinvierebbe a future, improbabili, discussioni (per specifici ambiti organizzativi). Piuttosto trova forma l'esatto contrario dove reale, tangibile e di imminente attuazione è invece l'aumento di orario per chi lavora nella "Rete Corriere" portato a 39 ore settimanali sancito nel recente accordo di luglio e che comporta, ancora una volta, una drammatica riduzione di personale.
Meglio specificata è la possibilità di rimodulazione degli orari lavorativi con concentrazione su un numero ridotto di giorni (settimana corta con turni da 9 ore giornaliere) finalizzata ad estremizzare razionalmente il lavoro in funzione delle drastiche riduzioni di personale in atto e previste.
Di fatto in contrasto con la tendenza ormai acquisita a livello europeo di necessaria riduzione dell'orario di lavoro, tanto sbandierata peraltro anche dai concertativi in questa ipotesi contrattuale e come si vede per nulla perseguita.
Nello stesso processo di scientifizzazione delle risorse e massimizzazione dei profitti in questa ipotesi viene variata la natura facoltativa della smonetizzazione della prima festività, coincidente con la domenica, con relativa riduzione di salario ed ulteriore risparmio per l'azienda.
La riduzione dei tempi del comporto per le lunghe malattie da 24 a 20 mesi (609 giorni) è un evidente incentivo al licenziamento di tutte quelle Lavoratrici e Lavoratori che inidonei per effetto di accordi fortemente discriminanti (ad es. Accertamento lavorazioni interne) per gli ammalati ne sancisce la deportazione fino a 100 km. Facendo poi passare come "comporto speciale" quello delle categorie protette di cui all'art. 41 e degli invalidi al 45%, alle quali viene riconosciuto un comporto di 2 anni in 4 anni, cioè 730 giorni, com'era esattamente prima, nei contratti precedenti, però per tutti i lavoratori a prescindere. È questa una delle maggior tutele tanto sbandierate?!
Gli unici vantaggi di questa ipotesi contrattuale sono riservati agli esclusivi interessi dell'azienda e dei sindacati complici per i quali è stato programmato un rafforzamento, perfezionamento e istituzione di nuovi organismi a partecipazione sindacale come gli osservatori che rappresentano, per chi firma la vergogna di questa ipotesi, ulteriori poltrone e gestione del potere funzionale ad oleare meglio i processi di cogestione con l'azienda confondendo la natura del proprio ruolo.
Come vantaggioso è l'unico aumento "degno di considerazione" quello relativo alle trattenute sindacali che subiranno un incremento del 25% passando dallo 0,8 all'1% che chiaramente è a profitto dei sindacati ed aggravio ed esborso maggiore per chi lavora.
In maniera evidentemente inconsistente sono gli aumenti salariali. La parte economica è decisamente quella più disastrosa ed inaccettabile per chi lavora. L'aumento misurato dalla propaganda nei termini di 192€ sono da considerarsi lordi, medi ed a regime in 4 tranches dove l'ultima a dicembre 2027 a scadenza contratto. La variazione media annua degli stipendi, comprensivi della vacanza contrattuale, nei quattro anni che ci separerebbero dalla scadenza è misurabile in un valore pari al 2.2%. Molto al di sotto dei valori inflazionistici degli anni passati e di quelli attesi. E miseri perfino se rapportati agli indici IPCA di cui le aziende e i sindacati concertativi si servono per fissare le variazioni salariali che si sono attestati negli ultimi tre anni su un valore medio pari al 5,1%.
Gli aumenti salariali proposti sono ben al di sotto degli aumenti dei prezzi al consumo. E ciò nonostante gli utili milionari di Poste e i dividendi da capogiro che, con il nostro lavoro, vengono distribuiti agli azionisti e gli incredibili compensi di tutta la classe dirigente.
Così come molti dei prodotti postali che hanno subito in questi anni modifiche tariffarie, talvolta addirittura triplicando, le stesse proporzioni degli aumenti di tutto il salario indiretto risultano essere un affronto per la classe lavoratrice di questa azienda, dal momento che addirittura il fondo sanitario (privato), fatto passare per incremento, e per chi non l'ha rifiutato, subisce un aumento di più del 40% passando da 12€ a 17€. Anche il contributo per il fondo poste, la previdenza complementare (privata), passa dal 2,3% al 2,5% della retribuzione.
Soldi che vengono computati ipocritamente come guadagno (aumento salariale) per i lavoratori sono in realtà un arricchimento per poste italiane e per i sindacati firmatari che con la cui complicità di ieri, di oggi e di domani, favoriscono le privatizzazioni in ogni loro accezione e impoveriscono noi lavoratrici e lavoratori. Tutto in barba ad una giusta e dovuta richiesta di rilancio del servizio pubblico e di equità sociale.
Questa ipotesi rappresenta una provocazione che non può in nessun modo essere tollerata e per la quale useremo tutti gli strumenti di cui disponiamo per opporci nella maniera più ferma ed intransigente, continuando a rivendicare la nostra piattaforma di contratto pubblicata ad ottobre del 2023 prima ancora della scadenza di quello vigente e che rappresenta l'unica misura collettiva che reputiamo utile per garantire a noi Lavoratrici e Lavoratori una esistenza dignitosa in termini economici e di diritti sul lavoro che non siano sempre, solo, esclusivamente a vantaggio di poste, degli azionisti e dei sindacati collaborazionisti.