COME SI DISTRUGGE UN SERVIZIO PUBBLICO.
La imminente tranche di privatizzazione delle Poste voluta da governo e concertativi.
La privatizzazione delle Poste nasce, come tutte le privatizzazioni, negli anni novanta quando lo Stato deroga a sé stesso e in nome di interessi altri, non propri della collettività che racchiude, comincia a svendersi per favorire il capitale privato che incredulo delle nuove opportunità di profitto determinate dagli scenari improvvisamente sopraggiunti in coda al secolo scorso con la caduta del mondo contrapposto in blocchi e che in qualche modo ne mantenevano un equilibrio. Il dominio di quello che tra questi meglio ha storicamente rappresentato la legge economica dei pochi a scapito dei tantissimi altri ha dato il via nel nostro paese e in Poste alle ambizioni di messa a profitto di tutto ciò che appartiene ed è appartenuto da sempre alla collettività.
La tesi predominante sulle privatizzazioni si basa sul carattere di un servizio migliore, sulla totale efficienza e pertanto da applicare a più settori del mondo del lavoro. Chiaramente, secondo questa scaltra visione e diabolica logica, non potevano assolutamente mancare le Poste che già solo col passaggio da Amministrazione Statale ad Ente pubblico economico subiscono un notevole abbattimento di organico.
La strategia politica dei vari governi che si sono succeduti, come di tutto il parlamento borghese, sin dalla trasformazione in SpA nel 1998 era, e tutt’ora è, quella di cedere alle elité economiche i profitti di una azienda di Stato e di concedere mano libera allo sfruttamento dei dipendenti, in particolare delle lavoratrici e dei lavoratori esposti in prima linea, tagliando costantemente il personale per favorire l’aumento a dismisura della precarietà.
Nella logica liberista strettamente legata al profitto il trucco è abbattere il costo del lavoro e contestualmente distruggere in toto il servizio pubblico, spingendolo definitivamente in una giungla piena di affamati accaparratori, compreso gli stessi governi, che di conseguenza colpiscono duramente gli utenti, potremmo ormai anche dire il popolo che ingenuamente si reca alle urne, con uno sproporzionato aumento delle tariffe e l’abbassamento della qualità del servizio ritenuto scarsamente remunerativo dai nuovi padroni anche se considerato dalla legge “pubblico ed essenziale”. La maggior parte dei tagli viene effettuata sulla rete degli sportelli,sui servizi postali, finanziari e sul recapito. Praticamente, vengono tagliati i pilastri del servizio pubblico.
Nell’anno 2015 decolla la reale privatizzazione dell’azienda con la vendita del famoso 40% collocato sul mercato che si è tradotto immediatamente in un danno abnorme per le masse popolari e lavoratrici nonché nell’inizio di un processo spietato che preme sull’acceleratore per azzerare uno dei più importanti patrimoni della collettività. Nella realtà dei fatti, e non a chiacchiere, i sindacati intrufolati nelle stanze del potere in nessun modo hanno difeso il bene collettivo, il servizio pubblico, ma si sono buttati a capofitto sul carro liberista per fini di penosa convenienza senza alcun ripensamento.
È delle ultime ore la conferma che l’attuale governo sta per mettere le mani su Poste italiane auspicando una imminente e ulteriore vendita di una parte cospicua di ciò che dovrebbe appartenere pienamente all’intera società.
Attualmente le azioni di Poste italiane in percentuale sono per i due terzi sotto controllo statale, di cui il 35% appartiene a Cassa Depositi e Prestiti ed il 30% circa appartiene al Ministero dell’Economia.
I vertici aziendali e politici che lavorano da anni sul progetto di dismissione, privatizzazione e cessione ai privati hanno originato le peggiori riorganizzazioni dei tre settori di Poste italiane: recapito, bancoposta e logistica. Le ricadute negative sulla tenuta occupazionale, le insostenibili condizioni di lavoro e la qualità del servizio offerto all’utenza sull’intero territorio nazionale sono drammatiche ed evidenti ma non sembrano degne di attenzione generale.
In questa dinamica trova compimento la regola aurea sulle privatizzazioni elaborata da Noam Chomsky “questa è la tecnica standard per la privatizzazione: togli i fondi, assicurati che le cose non funzionino, fai arrabbiare la gente e lo consegnerai al capitale privato”.
È un processo lento, graduale, che qualcuno vorrebbe inesorabile poiché dà per scontanto l’accettazione di tutti i soggetti in campo. Funzionari del potere e funzionali al suo disegno operano i sindacati concertativi nel ruolo di facilitatori dei processi e attenuatori di potenziali istanze conflittuali. Questi sin dallo sciopero unitario indetto nel 1997 per accelerare il passagio da Ente pubblico in spa e dalla accettazione trionfalistica della prima tranche di privatizzazione del 2015, pur dicendosi contrari a questo ultimo assalto, fungono da catalizzatori delle istanze della categoria che verranno depotenziate e neutralizzate attraverso i giochetti burocratici di cui sono abili mestieranti. In seno all’ulteriore tranche di privatizzazione, difatti, questi ultimi, assumendo un goffo piglio conflittuale che mai gli è appartenuto, stanno tentando di compattare i lavoratori che porteranno probabilmente in sciopero mostrando i muscoli di una categoria esasperata da barattare, però, con un vecchio e rinnovato desiderio sindacal-concertativo, quello cioè di rappresentare i lavoratori nei consigli di amministrazione e nelle assemblee degli azionisti in nome di un azionariato ai dipendenti, fortemente contraddittorio, di cui si fanno per mero interesse anche promontori.
Dunque pur dicendosi contrari, la privatizzazione ulteriore di Poste a loro serve per affermare sé stessi attraverso la propria mutazione genetica: da rappresentanti degli interessi dei lavoratori ad amministratori e cogestori delle dinamiche aziendali.
Sin dalla trasformazione in spa attraverso scioperi, azioni, e opposizione quotidiana sui luoghi di lavoro, il Cobas Poste ha rappresentato la propria contrarietà ai processi di sottrazione del servizio pubblico del recapito e della tutela del piccolo e medio risparmio e continuerà nella lotta che da sempre porta avanti per sbarrare la strada all’avanzare della privatizzazione che da troppo tempo e ancor più oggi marcia su Roma.